Le persone dalle aziende e dai brand si aspettano prodotti di qualità, promesse mantenute, servizio ineccepibile, continuità di relazione e raggiungibilità grazie all’Ecommerce e ai canali digitali.
Qualche tempo fa Mariangela ha scritto della lecture di Philip Kotler alla Bologna Business School, preannunciando che sarebbe toccato a me di continuare il suo racconto parlandovi di ciò che è stato detto riguardo al Digital Marketing in quell’occasione.
Devo dire la verità, quando ho visto Kotler proiettare questa slide
Ho pensato, “Wow, che testimonial perfetto per Deda Digital”: sono due slide che inquadrano benissimo le soluzioni che offriamo al mercato e le nostre aree di intervento, basta fare un giro nella nostra sezione Servizi per rendersene conto.
Delle tre web agency che hanno dato vita a Deda Digital, la più giovane è attiva dal 2000, una dal 1997 e una addirittura nasce come testata giornalistica prima ancora dell’avvento di Internet, nel 1988.
Cos’è successo al business negli ultimi vent’anni? E’ successo che quello che leggiamo ai punti 3, 7 e 8 della slide di Philip Kotler, ossia:
Non sono più opzioni strategiche eventualmente collegate alla scelta di adottare una strategia di differenziazione – come un altro “grande vecchio” del Management come Porter ci ha insegnato – ma una sorta di prerequisito generale, di minimo comune denominatore di partenza.
Negli ultimi vent’anni infatti i grandi attori della digital disruption, che non citerò dal momento che l’ultima volta che li ho messi su una slide si è scatenata una ridda di critiche sui social, hanno spostato in alto l’asticella della qualità percepita e delle aspettative dei clienti, clienti che hanno messo al centro della loro value proposition. Certo, il fatto di partire da zero, di far leva su asset immateriali, di muoversi su uno scenario globale senza confini (nemmeno dal punto di vista fiscale), ha permesso loro di stabilire regole del gioco nuove con una struttura dei costi inarrivabile a chi era sul mercato da prima
E oramai anche gli imprenditori italiani lo hanno capito: questa è la nuova arena competitiva. Non si può ignorare Amazon, far la guerra a Booking, pensare che le persone acquistino da noi solo perché siamo il fornitore di fiducia anche se i nostri prezzi sono più alti, il servizio non all’altezza di certi internet player, il personale non sempre preparato o aggiornato sulle azioni o lamentele del cliente.
“Centering on mobile marketing”: Gli smartphone dei nostri clienti sono punti di contatto fondamentali. Questo non significa che dobbiamo far loro scaricare per forza un’app., ma che dobbiamo progettare mobile first (il sito prima di tutto, ma anche le strategie promozionali – ad esempio ricordandoci che è da mobile che verranno lette le nostre mail, visualizzate le nostre inserzioni pubblicitarie, ricercati gli indirizzi per raggiungerci, compilati i nostri form, sfogliati i nostri cataloghi). Sono anche antenne meravigliose, e questo ci traghetta ai tre punti successivi.
“Gathering data on the customer’s journey”: i percorsi dei clienti per arrivare all’acquisto dei nostri prodotti e dei nostri servizi devono essere al centro della nostra azione di marketing. Occorre capire qual è il proprio percorso, quali sono i touchpoint e come presidiarli, gestendo abilmente i punti di contatto fisici, quelli digitali, e i modi per fonderli (no, non c’è solo il QR code: ci sono i beacon, la connessione wifi, il remarketing, le piattaforme di messaging…)
“Using social media apps for messaging”: ecco, appunto, le piattaforme di social media come punti di contatto lungo il percorso di acquisto, e non pagine vetrina per “affissioni digitali”. Servono nuove competenze (assumete millennial, dice Kotler, aggiungendo che nelle imprese familiari italiane non dovrebbe essere un problema trovare figli e nipoti giovani in grado di capire il paesaggio digitale e le sue continue evoluzioni), ma anche le tecnologie aiutano, come chatbot, virtual assistant e conversational platform che proprio in questi mesi abbiamo visto adottate con successo da alcuni nostri clienti. Piccoli progetti sono sufficienti a comprendere gli enormi vantaggi raggiungibili in termini di efficienza di costo e qualità del servizio, due dimensioni normalmente difficili da conciliare.
“Managing content development e distribution”: non basta studiare il percorso e i touchpoint, occorre avere un piano editoriale di produzione dei contenuti, la capacità di declinarli su media diversi e una chiara strategia di promozione dei contenuti stessi. Anche qui, bastano piccoli investimenti iniziali per toccare con mano la conversione in euro di fatturato aggiuntivo che deriva da una buona strategia digitale. Mi sembra importante anche aggiungere che è importante sapersi collegare alle fonti di conoscenza dentro e fuori l’organizzazione, un elemento che fa la differenza, come ha detto anche Kotler: “I big data permettono di sviluppare contenuti più vicini agli interessi delle persone e alla loro vita reale – Show you know, show you care, deliver special contents”
“Using marketing automation”: questo è un tema che molti, nel nostro Paese, vivono ancora come di frontiera. Eppure, la trasformazione digitale del marketing porta a una tale complessità di microazioni – necessarie appunto per collegare le persone giuste, ai prodotti giusti, nel luogo e nel momento giusto attraverso contenuti rilevanti – che l’automatizzazione di alcuni processi può rivelarsi fondamentale. Non è un’automazione che sostituisce le persone, quanto, piuttosto, un’automazione che consente di non espandere proporzionalmente i costi di personale e, soprattutto, di liberare intelligenza per gestire e governare la visione di insieme. Proprio quella visione di insieme che fa sì che si possano realizzare i tre punti prerequisito di cui abbiamo parlato all’inizio, ossia il posizionamento del brand, la sua promessa e la capacità di realizzarla.
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